Corte di Cassazione – contratti bancari – apertura di credito in conto corrente – assenza forma scritta contratto – mancanza del contratto – eccezione prescrizione – rimesse solutore e rimesse ripristinatorie – violazione della Delibera CICR 2000 – anatocismo bancario – usura – perizia econometrica – perizia giurimetrica – perizia su conti correnti – analisi conti correnti – perizia usura – perizia anatocismo
Corte di Cassazione, ordinanza n. 17982 del 22.06.2023:
“Ciò detto, va anzitutto osservato che nel regime previdente all’entrata in vigore della L. n. 154 del 1992, art. 3, il quale ha imposto l’obbligo della forma scritta ai contratti relativi alle operazioni ed ai servizi bancari, era consentita la conclusione per facta concludentia di un contratto di apertura di credito, alla luce del comportamento rilevante della banca (Cass. 24 giugno 2008, n. 17090: la sentenza ha riguardo alla fattispecie del pagamento di assegni privi di copertura; ipotesi sottesa anche al precedente arresto di Cass. 11 marzo 1992, n. 2915).
Quel che rileva, a tal fine, non è il mero fatto della situazione di scoperto di conto, con una pluralità di adempimenti agli ordini trasmessi, bensì la pattuizione, pur realizzabile, come si è detto, per facta concludentia, di un obbligo della banca di eseguire operazioni di credito bancario passive (Cass. 23 aprile 1996, n. 3842): è poi appena il caso di avvertire che resta esclusa, in questa, sede, alcuna rivalutazione degli elementi di fatto che hanno portato i Giudici di merito al positivo accertamento del perfezionamento del negozio.
Dunque un problema di documentazione del contratto di apertura di credito, quanto al valido perfezionamento dello stesso in epoca anteriore all’entrata in vigore della cit. L. n. 154 del 1992, e al successivo testo unico, i quali hanno imposto – rispettivamente all’art. 3, comma 1, e al all’art. 117, comma 1, la forma scritta dei contratti bancari, non si pone affatto.
Ma una questione dell’indicato tenore non può prospettarsi nemmeno con riferimento al contratto di apertura di credito del 2002: e ciò in quanto le nullità di cui all’art. 117 t.u.b. sono nullità di protezione; esse operano soltanto a vantaggio del cliente (art. 127, comma 2, t.u.b.) e non possono essere quindi fatte valere dalla banca.
La mancanza, nel contratto, dell’indicazione del tasso debitore non sarebbe, comunque, rilevante. Infatti, le disposizioni contenute nel D.M. 24 aprile 1992, e nelle istruzioni della Banca d’Italia, al pari delle prescrizioni di cui alla Delib. C.I.C.R. 4 marzo 2003, emanata in attuazione dell’art. 117, comma 2, t.u.b., escludono che il contratto di apertura di credito, qualora risulti già previsto e disciplinato da un contratto di conto corrente stipulato per iscritto, debba essere documentato a sua volta, a pena di nullità (Cass. 9 luglio 2005, n. 14470; più di recente: Cass. 27 marzo 2017, n. 7763; Cass. 22 novembre 2017, n. 27836).
Ebbene, nella fattispecie la Corte di merito ha ricordato che l’art. 6 del contratto di conto corrente regolamentava le condizioni di quello di apertura di credito (salvo che per gli interessi passivi: e l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, per cui tale evenienza non avrebbe determinato la nullità dell’intero contratto, incidendo, piuttosto, sulla misura degli interessi stessi – sull’evidente presupposto dell’operare, nella fattispecie, dell’eterointegrazione del negozio attraverso l’inserimento, i n esso, dei tassi sostitutivi previsti dall’art. 117, comma 7, lett. a), t.u.b. – non è stata nemmeno impugnata)”.